Gli ecologisti della Capitale

Alcuni giorni fa l’organizzazione mondiale metereologica -WMO- ha annunciato che la concentrazione di C02 in atmosfera ha superato le 400 parti per milioni. Un dato drammatico che indica come siamo entrati in una nuova era climatica che comprometterà il futuro del pianeta e delle generazioni che verranno. Di fronte ad una minaccia alla sicurezza globale del pianeta, i modi di produrre dovrebbero cambiare verso una loro conversione ecologica e le legislazioni adeguarsi a questo cambiamento epocale per garantire un futuro equo e sostenibile. Qualcuno dirà, cosa c’entra tutto questo con il referendum costituzionale che si terrà (forse ?) il 4 dicembre prossimo? C’entra e cercherò di spiegarlo.
La riforma della Costituzione, che è la legge fondamentale dello Stato, avrebbe dovuto contenere nei suoi principi il tema di questa sfida epocale: la lotta al cambiamento climatico, il principio di precauzione, la sostenibilità ambientale, la tutela dei territori e il diritto alla partecipazione nelle scelte che incidono sull’ambiente. La riforma costituzionale votata dal parlamento non solo ha perso un’occasione storica non inserendo in Costituzione i principi succitati, ma è portatrice di un modello economico che riproduce gli errori del passato come ad esempio quello delle grandi opere, che hanno prodotto solo debito, anziché quello della manutenzione e messa in sicurezza dal rischio sismico e idrogeologico e non è un caso che le grandi banche mondiali o istituti finanziari come Jp Morgan, Goldman Sachs e Fitch, alcune delle quali responsabili della crisi dei subprime del 2008 e di aver inquinato con titoli tossici l’economia mondiale, sostengono il Si alla riforma costituzionale.
Proprio Jp Morgan il 28 maggio del 2013 mette nero su bianco, in un documento sulla crisi in Europa , (https://culturaliberta.files.wordpress.com/2013/06/jpm-the-euro-area-adjustment-about-halfway-there.pdf ) la necessità che le costituzioni che avevano avuto origine dall’antifascismo fossero superate. In un paragrafo più significativo del documento si legge :”I sistemi politici della periferia meridionale (dell’ Europa) sono stati instaurati in seguito alla caduta di dittature, e sono rimasti segnati da quell’ esperienza. Questi sistemi politici e costituzionali presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; e la licenza di protestare se vengono proposte sgradite”. Con la modifica dell’art.117 della Costituzione e dell’art. 75 relativo ai referendum c’è un’oggettiva coincidenza di vedute tra la riforma e quanto espresso nel documento JP Morgan.
Al contrario di chi sostiene le ragioni del Sì, questa riforma non affronta quella modernizzazione di cui l’Italia avrebbe bisogno rappresentata dalla grande sfida legata alla conversione ecologica di modelli produttivi inquinanti e del recupero del territorio. Nelle costituzioni di altri paesi europei l’ambiente ha un ruolo importante e rilevante. Nel 2003 il presidente francese Jacques Chirac promulgò la Carta dell’Ambiente, che da allora fa parte della Costituzione della Francia, che enuncia e definisce il principio di precauzione in materia ambientale, dispone che le politiche pubbliche devono promuovere uno sviluppo sostenibile e consacra il ruolo dell’educazione e della ricerca nella tutela e nella valorizzazione dell’ambiente. In Germania, l’art. 20 del Grundgesetz (la Costituzione di quel Paese) prevede che lo Stato debba tutelare l’ambiente anche in veste di responsabile per le future generazioni. La Costituzione spagnola riconosce il diritto dei cittadini a godere di un ambiente adeguato per lo sviluppo della persona e il dovere quindi di conservarlo. Mi fermo qui negli esempi ma potrei continuare. Cosa prevede invece la riforma costituzionale votata dal nostro Parlamento? Delinea attraverso la modifica del titolo V ed in particolare dell’art.117 e dell’art.75, una visione dell’Italia tutta centrata proprio su quel modello economico ed industriale responsabile non solo dell’attuale crisi economica e sociale ma di una profonda crisi ambientale e quindi anche sanitaria. Con la modifica dell’art.117 si arriva ad una costituzionalizzazione della legge obiettivo e del decreto “sblocca Italia” concentrando nelle esclusive “ mani “ del governo le autorizzazioni su porti, infrastrutture, energia, inceneritori eliminando qualsiasi possibilità di partecipazione delle comunità e dei governi locali nelle decisioni. Non è un caso che le lobby del petrolio e Confindustria si siano schierate per il Sì. Proprio il presidente di Confindustria Boccia al convegno di Comunione e Liberazione dell’estate scorsa motivava il Sì al referendum non per ragioni politiche ma economiche. E’ qui la sostanza, per nulla segreta, della riforma: far ripartire l’Italia piegando l’ambiente e la sua tutela a quelle logiche che vorrebbero il nostro paese essere terra di conquista per cementificatori, asfaltatori e petrolieri. Ovviamente non ho nulla in contrario che l’Italia riparta dal punto di vista economico, ma la strada scelta non porterà benessere e occupazione duratura oltre a non fornire adeguate garanzie ambientali. Nella riforma non vi sono pesi e contrappesi che consentano di dare pari dignità di rango costituzionale alla tutela dell’ambiente. A dimostrazione di questo, ricordo che con sentenza n.7/2016 la Consulta ha dichiarato incostituzionali parti rilevanti del decreto “sblocca Italia” per violazione dell’articolo 117 della Costituzione che oggi la riforma vuole modificare. Quella sentenza della Consulta portò o costrinse il governo a ritirare alcune norme dello Sblocca Italia relativamente alle trivellazioni petrolifere. Con l’art.117 modificato, il governo, se dovesse vincere il Si, potrà decidere tutto da solo senza confronto alcuno su perché e dove trivellare. Mentre ci sono molte regioni che puntano sulle energie rinnovabili, il governo con la riforma si prende in via esclusiva la delega su energia perché come le sue ultime decisioni dimostrano punta sulle fonti fossili che hanno già portato ad un aumento del 2% delle emissioni di C02 nel 2015. Aggiungo che con la previsione della clausola di supremazia, prevista sempre all’interno dell’art.117, il governo potrà decidere avocando a sé le decisioni anche su tutte le rimanenti competenze regionali qualora l’interesse economico e nazionale lo richieda. Si tratta di un vero e proprio commissariamento dei territori che potranno subire progetti ad alto impatto ambientale senza poter dire nulla. La visione complessiva di questa riforma mette in subordine e annulla ogni effetto di tutela dell’ambiente ed ha una conseguenza diretta sugli articoli 9 e 32 della Costituzione pur non essendo stati modificati. Con Ilva a Taranto abbiamo visto come il diritto alla salute sia stato cancellato anteponendo lo sviluppo economico alla vita; la tutela del paesaggio con l’art. 9 diventa una mera enunciazione non supportata da quei pilastri normativi che possono evitare che una collina o un monte intero sia spazzato via senza che le comunità o i governi locali possano dire qualcosa, perché tutto sarà deciso dal governo. Per non fare il solito esempio della Tav in Val di Susa o del ponte sullo Stretto di Messina, proposto con frequenza dal presidente del consiglio Renzi, faccio quello della Tav del Brennero: con il nuovo art.117 della Costituzione potranno essere cancellate storiche vallate e importanti vigneti che sono il vanto e orgoglio della produzione di vino in Italia, tacitando i governi e le popolazioni locali. Con le prossime elezioni presidenziali Usa i cittadini statunitensi voteranno anche per oltre cento referendum locali su vari argomenti. In Germania la partecipazione della popolazione è prevista anche negli strumenti di pianificazione urbanistica e nelle grandi opere: ricordo il referendum sul progetto alta velocità della stazione Stuttgart 21. Mentre in Europa e in Italia assistiamo a una domanda sempre crescente di partecipazione alla vita pubblica da parte dei cittadini, con questa riforma si riducono gli spazi di democrazia. Per presentare leggi d’iniziativa popolare la riforma interviene disincentivando questo strumento triplicando le firme necessarie portandole a 150 mila e se poi i cittadini vorranno chiedere di abrogare una brutta legge, le firme passano da 500 mila a 800 mila. Già era molto complicato raccogliere le 500 mila firme per presentare un referendum abrogativo, con 800 mila sarà quasi impossibile. Per queste ragioni voterò No al referendum costituzionale del 4 dicembre e trovo incomprensibile chi sostiene che votare la riforma sia il meno peggio come se la nostra Costituzione fosse il peggio ed è invece inaccettabile che molti stiano facendo la campagna per il Si o per il No a prescindere dal merito dando un significato esclusivamente politico sul futuro del governo.

Angelo Bonelli
Membro esecutivo nazionale dei Verdi

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